domenica 1 maggio 2011

Jaguar E-Type (1961 - 1974)

E-Type Roadster 1961

La storia della Jaguar E-Type inizia al salone di Ginevra nel lontano 16 marzo del 1961. Guardando negli annali dell'automobilismo moderno è impossibile non notare come gli anni ’60 siano stati particolarmente generosi nel regalarci alcune tra le più belle auto mai prodotte, come la Ferrari 250 GTO, la Lamborghini Miura e, naturalmente, la E-Type. Dietro la sua presentazione si nasconde un curioso aneddoto che fa pensare a quanto i tempi siano cambiati. La Jaguar aveva previsto di esporre al salone due esemplari, uno per la normale esposizione statica e un altro per le dimostrazioni alla stampa. Quest’ultimo, dopo tutti i controlli del caso presso lo stabilimento, partì in ritardo da Coventry (sede della Jaguar) e venne guidato di corsa fino a Ginevra, dove arrivò giusto in tempo. Riuscite a immaginare lo svolgersi della stessa situazione ai tempi attuali? 

interni E-Type Roadster 1961

Comunque sia, tanta fatica venne ampiamente ricompensata dal giudizio del pubblico e della stampa: tutti ne rimasero molto impressionati, in positivo ovviamente. Per quei tempi, la E-Type era un’auto davvero molto avanzata, dotata di quattro freni a disco, struttura monoscocca e di sospensioni posteriori indipendenti, ma ciò che colpì prima di tutto fu indubbiamente la carrozzeria, disegnata dal “mago dell’aerodinamica” Malcolm Sayer. Affusolata, sinuosa e seducente, impossibile non restarne affascinati. Fu un elemento molto importante per il raggiungimento della notevole velocità massima dichiarata: 150 miglia all’ora, pari a 240 km/h. Al debutto, la nuova Jaguar era disponibile in due varianti di carrozzeria, convertibile (detta OTS - Open Two Seater) e coupè (detta FHC - Fixed Head Coupe).

E-Type FHC 1967




Il motore, già visto sulla XK 150 S, era un sei cilindri in linea (della serie XK) con una cilindrata di 3.8 litri, doppio albero a camme in testa e alimentato da tre carburatori SU HD8 e capace di ben 265cv. Era accoppiato a un poco indovinato cambio Moss a quattro rapporti, con il primo non sincronizzato. La sua manovrabilità fu uno degli elementi più criticati della vettura, insieme alla resistenza dei freni durante la guida sportiva e alla scarsa capacità dei sedili di trattenere il corpo in curva.
 
La Jaguar diede grande importanza al comportamento stradale e ciò portò, come anticipato poco fa, allo sviluppo di un nuovo sistema di sospensioni posteriori indipendenti, dotate di quattro ammortizzatori (che, a differenza dell’avantreno, erano accoppiati a delle molle) e di freni “entrobordo”, posizionati cioè all’uscita del differenziale posteriore, in modo da ridurre le masse non sospese. 
E-Type FHC 1961

Lo sterzo, a cremagliera, si rivelò un altro elemento importante: grazie al basso rapporto di demoltiplicazione e allo sforzo, ridotto, per l’azionamento. Tutto ciò diede alla E-Type una grande efficacia, con un temperamento non certo compassato e gentile ma impegnativo, da auto da corsa. Aveva tutti gli elementi per diventare un vero e proprio mito dell’automobilismo.
La consacrazione completa arrivò al salone di New York del 1° aprile dello stesso anno, dove la nuova Jaguar riscosse un grandissimo successo, specialmente nella versione scoperta. Anche in questo caso, a colpire non fu solo lo stile ma anche le notevoli prestazioni e la stampa locale non perse tempo per tesserne le lodi.
Nel 1965 arrivò la prima versione migliorata, con un motore dalla cubatura aumentata a 4.2 litri, in grado di garantire una erogazione più robusta anche ai regimi inferiori (migliorò la coppia ma non la potenza). Nuovo anche il cambio, un componente Jaguar al posto del precedente Moss, sempre a quattro rapporti ma, finalmente, tutti sincronizzati. 

E-Type Convertible 1961

All’interno cambiarono anche i sedili, con un modello più ergonomico, contenitivo e ribaltabile, e l’insieme plancia-tunnel centrale, nel quale sparì il rivestimento in alluminio per lasciar spazio a un nuovo set di interruttori (adagiati su un rivestimento nero in vinile) e alla pelle. Novità assoluta fu anche l’introduzione di un nuovo modello 2+2, il quale si differenziava dalla normale FHC, oltre alla ovvia differente abitabilità, anche per un passo maggiorato (9” di differenza) e il padiglione più alto. Su questa versione venne reso disponibile anche un cambio automatico, a tre rapporti, costruito dalla Borg Warner.
Nel 1967 arrivarono altre modifiche, necessarie per rispettare la normativa USA che sarebbe entrata in vigore il 1° gennaio del 1968 (il mercato statunitense era molto esigente, gia all’epoca, nei confronti del contenimento delle emissioni e della sicurezza per gli occupanti). Sparirono le carenature dei fari, vennero modificati gli interruttori della plancia e, cosa più importante, venne modificato pesantemente il motore per le auto destinate al mercato americano: i tre carburatori SU lasciarono spazio a una più modesta coppia di carburatori Strombergs e la potenza crollò al valore di 175 cv, decisamente inadeguato per il carattere della E-Type. 

E-Type Convertible 1961

Questa serie, solo leggermente modificata, venne definita dagli appassionati Series ½.
Il 1969 fu l’anno della 4.2 Series 2, proposta da subito nelle versioni OTS, FHC e 2+2. Il nuovo modello subì aggiornamenti ben più importanti, specialmente nell’estetica. Vennero adottati dei paraurti più grossi, una presa d’aria maggiorata (per migliorare il raffreddamento), fanali posteriori più ampi e posti sotto il paraurti anziché sopra. Tutto ciò alterò in maniera visibile la purezza della sua linea anche se di certo non la trasformò da cigno a brutto anatroccolo. Anche sotto pelle cambiarono diverse parti, venne impiegato un impianto frenante potenziato (con un servofreno di maggior diametro), un migliore sistema di raffreddamento (munito di due ventole) e vennero resi disponibili, come optional, il servosterzo e l’aria condizionata. 

1971

L’abitacolo beneficiò del volante con piantone collassabile e di nuovi sedili muniti di poggiatesta.
Nel 1971, anche per far fronte alle scarse prestazioni garantite dal sei cilindri destinato agli USA, la Jaguar presentò la Series 3, l’ultima versione della E-Type, dotata di un monumentale motore a 12 cilindri a V, con una cilindrata di 5.3 litri. Questo motore, realizzato interamente in lega leggera, nacque infatti dall’accoppiamento di due sei cilindri in linea, disposti a V e con un angolo di 60°. La potenza salì a ben 272 cv a 5850 giri. Con questo modello, la versione FHC sparì dal listino, lasciando quindi spazio solamente alla OTS e alla 2+2. Questa serie subì pesanti aggiornamenti meccanici, in primis l’adozione del passo maggiorato anche sulla convertibile, inoltre l’adozione di sospensioni modificate (con carreggiate più ampie), freni potenziati (dischi anteriori autoventilanti), l’adozione del servosterzo e di pneumatici più larghi. Il cambio automatico, sempre a tre rapporti, restò nella lista degli optional. Dal punto di vista estetico, le modifiche non furono di certo meno importanti e contribuirono ancora una volta ad allontanare la E-Type dal suo stile di base. 


I paraurti vennero sostituiti con altri più importanti, la presa d’aria frontale venne dotata di una grossa griglia cromata e vennero modificati anche i passaruota. All’interno sparì il volante in legno per lasciare il posto a uno in pelle e il tunnel centrale, un tempo rivestito in pelle, adottò la plastica. Grazie al nuovo motore, l’intento della Jaguar di restituire le prestazioni originarie alla E-Type venne centrato, con una velocità massima di 150 mph e uno scatto da 0 a 60 mph in meno di 7”, ma ciò che venne stravolto fu il carattere, passato da quello guizzante e impegnativo di una vera sportiva a quello più flemmatico di una più normale granturismo.
La produzione cessò nel 1974, dopo oltre 72000 E-Type prodotte (di cui ¾ destinati al mercato americano). Le ultime 50 vetture a uscire dalla fabbrica furono tutte delle convertibili, con carrozzeria nera e dotate di una speciale placca commemorativa. 
La E-Type colpì tanto gli appassionati che al giorno d’oggi diverse aziende si sono specializzate nella costruzione di splendide e fedeli repliche, o, in certi casi, addirittura parziali ricostruzioni come nel caso della azienda inglese Eagle, specializzata nel perfezionare originali E-Type.

E-Type FHC 1968

Tuttavia, è impossibile terminare la storia di questa fantastica auto senza citare le due versioni speciali: le Lightweight e la Low Drag Coupè. Quest’ultima, prodotta nel 1962 in un unico esemplare, nasceva sulla base della versione coupè e montava il sei cilindri in linea da 3.8 litri, opportunamente rivisto. La carrozzeria, per ridurre la massa, era realizzata in alluminio e i finestrini, per lo stesso motivo, vennero realizzati in perspex. Esteticamente si differenziava dalle normali E-Type FHC per il differente design della coda, con un particolare profilo ideato dallo stesso Sayer che le consentiva di sfiorare la velocità massima di 170 mph. 

E-Type FHC 1965

Venne venduta al pilota Dick Protheroe che la fece gareggiare con successo sia in Inghilterra che in Europa e, in seguito, come spesso accade con esemplari tanto speciali, passò di collezionista in collezionista. Le Lightweight, prodotte in soli 12 esemplari, vennero costruite dalla Jaguar con l’ambizione di contrastare la Ferrari e la sua 250 GTO, ma non riuscirono a portare a casa i risultati sperati. Erano auto veloci e affidabili, ma non abbastanza performanti da contrastare in maniera davvero efficace le GTO. Esteticamente erano simili a normali E-Type OTS ma meccanicamente, ovviamente, profondamente differenti. 

E-Type FHC 1974

Per contenere il peso, la carrozzeria, l’hard-top e molte altre componenti vennero realizzate, al pari dei motori (sempre 3.8 elaborati), in alluminio. Dopo buone stagioni come quella del ’63 e del ’64, iniziarono un lento declino e, nel corso del tempo, alcune E-Type Lightweight finirono con l’essere utilizzate come muletti, per sperimentare modifiche tecniche ed aerodinamiche. Le undici vetture rimaste (una andò distrutta durante una corsa a Le Mans nel 1963) hanno ormai raggiunto quotazioni elevatissime.

Nessun commento:

Posta un commento